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Gli alunni della I E
Laboratorio linguistico a.s. 2005/2006
B. LEONARDO B. MATTEO B. M. CHRISTIAN C. DAVID C. GIACOMO C. GIULIA C. CAMILLA C. CATERINA C. SIMONE D'A. STEFANO DE G. ILARIA DE T. FEDERICO DI L. MATTEO FE. MATTEO FI. MATTEO F. GABRIELE G. DOMITILLA I. FEDERICO L. MIRKO P. GIULIA P. SARA P. BEATRICE R. SIMONE R. FLORA S. ALBERTO S. LAVINIA T. GIORGIA
Gli insegnanti
Prof.ssa Marina Quinto ( Lettere )
Prof. Giustino Lombardozzi ( Arte e Immagine )
Prof. Antonio Rossilli ( Lettere )
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Premessa
Delle attività di ricerca si sono occupati tutti gli alunni del gruppo classe, mentre in fase di rielaborazione, rifinitura e traduzione dei temi delle singole favole il lavoro si è svolto in collaborazione dinamica con gli insegnanti
FEDRO
La vita
Primo scrittore di favole della storia di Roma, Fedro nacque forse in Macedonia o in Tracia ( tra Grecia e Bulgaria ) e visse intorno al 15 a.C. – 50 d.C. Assai scarse sono le notizie soprattutto per il fatto che, probabilmente, giunse a Roma da bambino come schiavo. Molto erudito, venne presto affrancato da Augusto: sembra infatti che fosse stato liberato proprio dall’Imperatore, da cui avrebbe ricevuto il prenome Gaio ed il nome Giulio: ma non conosciamo le circostanze dell’affrancamento ( ritornare uomo libero). L’unico dato certo della sua esistenza è la persecuzione nei suoi confronti attuata da Seiano, a cui il poeta accenna nelle sue opere (prologo del 3^ libro). Seiano, ministro e braccio destro di Tiberio, infatti, irritato dal tono satirico di alcune sue favole, lo fece processare e condannare. I fatti che seguirono la condanna sono avvolti nel mistero. Forse, caduto in disgrazia, morì dimenticato da tutti, segno questo che la sua produzione evidentemente non ebbe molta fortuna ai suoi tempi.
Le opere
Sotto il nome di Fedro ci sono state tramandate poco più di 90 “Favole” divise in 5 libri. Si sospetta, a ragione, che ogni libro (specialmente il 2^ ed il 5^) sia stato sottoposto, attraverso i secoli, a tagli sia per ragioni didattiche che moraliste, dal momento che il testo di Fedro divenne, presto, lettura di scuola. Il 1^ libro (31 favole) fu scritto subito dopo la morte di Augusto; il 2^ libro (8 favole) durante gli anni di Tiberio; il 3^ (19 favole), il 4^ (25 favole) ed il 5^ libro (10 favole) sotto l’impero di Caligola e Claudio.
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Il genere della favola
La favola è un breve testo, composto per lo più da versi, di cui sono protagonisti gli animali (o esseri inanimati) che rappresentano vizi e virtù dell’uomo. Essa presenta storielle con spunti di umorismo e di saggezza a cui sono allegate una premessa o una postilla che spiegano il tema della favola o la morale che si può trarre da essa. Il genere della favola non aveva una grande tradizione nella letteratura latina: la sua nascita - per quanto riguarda la sua forma scritta – coincide con la produzione del greco Esopo (VI Sec. a.C.). A Roma questa materia ebbe una diffusione esclusivamente “orale” soprattutto fra gli strati subalterni e popolani; negli ambienti più colti si utilizzò soprattutto come satira, secondo l’opera dello stesso Orazio; tuttavia l’età latina ebbe il maggiore favolista in Fedro. Il Medioevo riprese il genere, che riebbe autentico splendore soltanto più tardi, nel Rinascimento e specialmente nel Seicento, in Francia, col poeta Jean La Fontaine (1621-1695). Nel Settecento e nell’Ottocento ebbe maggior fortuna la fiaba, che si distingue dalla favola come racconto, generalmente in prosa, di avventure straordinarie su uno sfondo magico, misterioso, con fate, maghi, orchi. Agli inizi del 1900 ottenne molto successo, ma limitato nel nostro Paese, la favola in romanesco di Trilussa (Carlo Alberto Salustri, 1871-1950). Ma il genere non fu del tutto abbandonato, infatti anche Alberto Moravia (1907-1990) si dilettava di favolette in prosa dove parlavano animali .
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Gli animali delle favole
Gli animali appaiono al posto degli uomini e nel variopinto mondo animalesco si rispecchia l’umanità con i suoi istinti ed i suoi difetti:
-la volpe, sagace e beffarda che con astuzia riesce a superare i pericoli; - il lupo, sleale e feroce, che ha un debole per la libertà;
- il topo, agile e furbo, capace di grandi imprese, di capire verità, veloce ma amante della pace della tana;
- il cane che fa ogni cosa, dal calunniatore insidioso allo scioccone famelico, al servo fedele per antonomasia;
- il leone, forte e maestoso, nobile e prepotente;
- l’asino, martoriato e vilipeso che anche nelle favole sopporta il basto e le bastonate. - Il cambiamento della favola con Fedro
L’importanza di Fedro sta nell’aver introdotto nella letteratura latina un genere letterario: è il primo autore, infatti, che ci presenta una raccolta di temi favolistici ereditati dal passato (per la prima volta in forma scritta) concepita come autonoma opera di poesia. Ispirandosi ad Esopo, ne rinnova i temi e gli argomenti creando un genere popolare che si accompagna alla letteratura colta. Fedro è orgogliosamente consapevole di questo traguardo, soprattutto perché proviene da una posizione sociale modesta. Infatti le sue favole parlano di contadini e pastori sempre a contatto con gli animali; ma, a differenza delle opere mitologiche nelle quali gli animali si comportano come uomini, nelle sue favole essi vengono interpretati come semplici consiglieri. La forma allegorica (si allude a un significato diverso da quello letterale, cioè da quello che si vede o si legge ) esprime una polemica acuta, dando voce alle classi inferiori in una società dominata dai potenti.
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“Il cane fedele” di Leonardo B.
L’improvvisa generosità di qualcuno, talvolta, può soddisfare solamente gli sciocchi, mentre invece non può ingannare le persone attente. Una notte un ladro lanciò una pagnotta a un cane da guardia, sperando di ammansirlo con il lancio del cibo. Ma il cane gli rispose: “Ehi, tu! Stai cercando di non farmi abbaiare per non fare attirare l’attenzione del mio padrone? Ti sbagli di grosso, perché questo regalo improvviso mi obbliga a stare ben più attento, affinché tu non possa fare qualcosa di illecito per colpa della mia disattenzione.”
“ homines mendaces non inducunt in errorem sapientes “
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“La pecora, il cervo e il lupo” di Christian B. M.
Quando un truffatore chiama un altro disonesto per garantire il proprio debito, significa che non restituirà mai il dovuto e non si darà da fare perché le cose vadano bene.Il cervo chiese alla pecora una quantità di grano presentando il lupo come garanzia per la restituzione del debito.Ma la pecora, capendo che era una truffa, disse: “Da sempre i lupi rubano e scappano e anche tu con un salto scomparirai. Dove mai vi verrò a cercare il giorno che mi dovrete restituire il debito?”
“ improbi non adiuvant alios”
“I cani e i coccodrilli” di Matteo B.
Si racconta che i cani bevevano nel grande fiume Nilo e correvano per non essere mangiati dai coccodrilli.Ma ad un certo punto un coccodrillo disse ad un cane : ”Avvicinati, bevi più vicino”; il cane rispose:” Lo farei, ma so che tu mi vuoi mangiare”.
“ astuti in errorem inducunt ingenuos “
“La mosca e la mula” di Giacomo C.
C’era una volta un carretto trainato da una mula; su quel carretto si posò una mosca che cominciò a minacciare la mula dicendo:”Quanto sei lenta!Guarda che se non vai un po’ ti pungo con il mio pungiglione!”La mula senza batter ciglio rispose:”Guarda che non mi fai paura!Io ho paura di quell’uomo che sta con il frustino in mano e lo so perfettamente quando bisogna andare piano e quando bisogna andare un po’ più veloce”.
« minae stultae non terrent homines »
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“La cicala e la civetta” di Giulia C.
La cicala faceva un baccano che dava fastidio alla civetta, solita a cercare cibo di notte e a dormire nel cavo di albero. Fu pregata di tacere. Ma prese a sgolarsi molto più forte. Le fu rivolta di nuovo la stessa preghiera, ma lei si scaldò ancora di più. La civetta, come vide che non c'era scampo e che le sue parole non erano ascoltate, si rivolse con un tranello:”Dato che il tuo canto non mi lascia dormire, vieni a bere del nettare da me “. La civetta si gettò sulla cicala atterrita e la uccise.
“molesti committunt se periculo mortis”
Il cavallo e il cinghiale” di Camilla C.
Un bel giorno un cinghiale, nuotando, sporcò la pozza dove il cavallo era abituato a bere. Nacque però un gran litigio. Il cavallo, furioso con il cinghiale, andò a chiedere aiuto all’uomo e lo fece salire in groppa. Velocemente il cavaliere scagliò delle frecce contro il povero cinghiale e ,dopo averlo ucciso, disse così:”Sono molto contento di averti aiutato, come mi avevi pregato, perché ho catturato una buona preda e ho scoperto quanto mi sei utile”.E quindi costrinse il cavallo a sopportare la vita in schiavitù.Il cavallo disse:”Sono veramente un pazzo! Volevo vendicarmi di una sciocchezza ma invece ho trovato la schiavitù” « melius non audire iniurias «
“La serpe e la compassione nociva” di Caterina C.
Un tale raccolse da terra una serpe sofferente per il gelo, e la scaldò magnanimamente a suo stesso danno: infatti; appena la serpe fu guarita, uccise l’uomo. Un’ altra serpe le chiese il motivo di quell’atto ignobile, e quella rispose:“Perché nessuno impari ad essere utile ai malvagi”.
« auxilium improbis est inutile »
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“Il Calvo e la mosca” di Simone C.
Una mosca punse la testa di un uomo calvo che, per schiacciarla, si diede uno scapaccione in testa, ma purtroppo non ci riuscì. Allora l’insetto cominciò a prenderlo in giro dicendo che, per vendicarsi di una piccola puntura, un uomo grande e grosso come lui voleva uccidere un animale così piccolo. Come punirà ora se stesso per aver aggiunto alla beffa (della puntura) anche il dolore (dello scapaccione)? L’uomo rispose che non era arrabbiato con se stesso, infatti, non aveva avuto l’intenzione di farsi del male, ma sarebbe stato disposto ad avere un danno anche maggiore di uno scapaccione pur di uccidere lei, un insetto fastidioso che si divertiva a succhiare il sangue degli uomini provocando dolore.
« qui fallit dignus est poena »
“L’asino e il porcello” di Stefano D’A.
Un uomo, dopo aver sacrificato un porcello a Ercole, comandò che gli avanzi dell’orzo fossero dati da mangiare all’asino , ma questi li rifiutò dicendo:”Mangerei volentieri questo cibo se non fossero gli avanzi di chi fu sgozzato”.
« non semper divitiae sunt bonae vitae »
“Il toro e il vitello”diIlaria De G.Un toro cercava di entrare nella stalla per mangiare ma l’ingresso era stretto e le sue grosse corna stentavano a passare.Un vitello lo vide e gli fece vedere come si doveva piegare. Il toro, però,irritato e sdegnato, gli disse che non aveva bisogno delle sue spiegazioni perché lo sapeva bene già da prima che lui nascesse.
“superbi saepe errant”
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“Il cane, il cinghiale e il cacciatore” di Federico De T.
Un cane aveva sempre accontentato il suo padrone affrontando con coraggio gli animali del bosco. Con il passare degli anni tuttavia, cominciò ad indebolirsi.Un giorno il suo padrone lo spinse a battersi contro un cinghiale, lo afferrò per un orecchio, ma a causa dei denti cariati dovette mollare l’orecchio.Il cacciatore si arrabbiò e sgridò il suo cane.Il cane rispose al suo padrone: “Non è stato il mio coraggio ad abbandonarti, ma le mie forze. Ora tu condanni la mia debolezza, ma in realtà stai lodando ciò che io una volta ero.”
“saepe non habemus reverentiam adversus senes”
“Il lupo e il cane” di Matteo Di L.
Un lupo, secco e senza forze, incontrò un cane ben nutrito, col pelo bello e pulito. Dopo essersi salutati, il lupo domanda al cane:- Come mai tu sei così grasso? Io sono più forte di te, eppure sto messo malissimo, guardami: sono pelle e ossa e quasi non mi reggo sulle zampe.- Il cane, allora, gli rispose:- Anche tu puoi ingrassare, basta che vieni dal mio padrone. Tu fai la guardia affinché non entrino i ladri e lui ti accudisce.- Il lupo contento disse:- Ci sto. Sono stanco di stare al freddo e faticare per avere del cibo.- Mentre tornavano a casa, il lupo si accorge che il cane ha un segno intorno al collo e gli chiede:- Che cos’è quello?- E il cane gli risponde:- Non è niente, di solito mi legano.- A quel punto il lupo chiede:- Se vuoi puoi andartene, vero? -Certamente no! -Beh, cane, mangiali tu i tuoi pasti, preferisco morire di fame che rinunciare alla mia libertà.
“ non numquam homines qui amant libertatem vitam modicam colunt”
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“La volpe e la cicogna” Di Matteo Fe.
Si narra che una signora Volpe, molto dispettosa, invitò una volta a pranzo una signora Cicogna e come pasto le offrì una brodaglia, messa però in un grande piatto. La Cicogna, ovviamente, con quel suo becco lungo, non riuscì ad afferrare e gustare nulla pur essendo estremamente affamata. Così la signora Cicogna, infastidita, pensò subito di ricambiare questo “piacevole” invito: invitò a pranzo la signora Volpe e le offrì un bel composto di tritato, servito però in un vaso lungo e stretto attraverso il quale la Cicogna, con quel suo bel becco lungo lungo, si saziò tranquillamente mentre la Volpe, pur torcendosi dalla fame, non riuscì a prender nulla. Infatti, la Volpe inutilmente tentava di prendere il cibo, ma riusciva solo a leccare il collo del vaso!!
« malus meret malum »
“Il leone invecchiato, il cinghiale, il toro e l’asino” di Matteo Fi.
Sfinito dalla vecchiaia e abbandonato dalle forze, il leone languiva a terra, esalando l’ultimo respiro; il cinghiale si diresse verso di lui e con un fulmineo colpo di zanne si vendicò di una vecchia offesa. Poi il toro, con le sue potenti e micidiali corna, trafisse il corpo del leone, suo nemico L’asino, appena vide che il feroce animale poteva essere impunemente colpito, gli sfondò a calci la fronte. Allora il leone, spirando, disse “Mio malgrado ho sopportato che i più forti mi insultassero, ma ora che sono costretto a sopportare te, vergogna della natura, mi sembra proprio di morire due volte”.
“ignavi derident potentes qui sunt in fortuna adversa”
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“L’asino e il vecchio pastore” Di Gabriele F.
C’era una volta in un prato un asino. Un vecchietto lo stava pascolando, pieno di paure e timori,ad un certo punto si sentirono delle voci nemiche. Il vecchietto, tremolante, cercava di convincere l’asino a fuggire,ma l’asino indifferente disse: “ Perché mai dovrei fuggire? Credi che un guerriero mi farà lavorare di più? ” Il vecchio rispose di no e allora l’asino replicò:“E allora che mi importa se la fatica sarà la stessa? “
“mutat dominus sed non mutat vita”
“L’asino e il leone a caccia” di Domitilla G.
Il leone andò a caccia col somarello e lo rivestì di ramoscelli, raccomandandogli di spaventare con la sua voce gli animali selvatici, così lui li avrebbe catturati. Nel punto indicato, il somaro, lanciò un raglio con tutta la sua forza e gettò le prede in bocca al leone. L’asino, contento, chiese al leone se fosse soddisfatto; il leone rispose:”Se non ti conoscessi bene, sarei scappato anch’io !”.
« gloriosus fallit viatorem »
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“L’asino e i galli” di Federico I.
Coloro i quali sono nati sfortunati non solo trascorrono una vita molto triste, ma anche dopo la morte sono perseguitati dal destino avverso. Alcuni galli usavano caricare un asino con tantissimi materiali per i loro commerci e, dopo che questa povera bestia morì di stenti e di botte, gli tolsero la pelle per farne un tamburo. Quando gli fu chiesto il motivo di tale violenza risposero che l’asino si era illuso che con la morte avrebbero avuto fine le sue sofferenze ma invece anche ora stava ricevendo delle percosse.
« miseri sunt infelices etiam post mortem »
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“Un cane guadò un fiume con un pezzo di carne” di Mirko L.
Un cane attraversò un fiume con un pezzo di carne in bocca e vide la sua immagine riflessa nell’acqua; credeva che si trattasse di un altro cane, con un pezzo di carne più grosso, così lasciò andare il suo, e balzò giù per afferrare quello dell’altro. Ecco come fu che rimase senza l’uno e senza l’altro: all’uno non ci arrivò perché non c’era; l’altro perché fu portato via dalla corrente.
« non numquam avidus amittit quod iam habet »
“La vacca, la capretta, la pecora e il leone” di Giulia P.
Il racconto dimostra come i più forti si comportino slealmente.Una vacca, una capretta e una pecora andarono a caccia con un leone e catturarono un cervo.Il leone decise di spartirlo e disse:“Poiché io sono il leone, prenderò la prima parte; siccome sono il più forte avrò anche la seconda. La terza parte mi spetterà perché valgo più di voi e nessuno osi toccare la quarta parte, altrimenti finirà male”. E così il leone si mangiò tutto il cervo.
“non numquam magni viri sunt infidi”
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“Il lupo e l’agnello” di Sara P.
C’era una volta un lupo furbo e cattivo e un agnello indifeso che si ritrovarono a bere nello stesso luogo spinti dalla sete.Il lupo cattivo si trovava nella parte più alta del ruscello e l’agnello buono nella parte più bassa. All’improvviso il lupo famelico spinto da una gran fame trovò una scusa per litigare e disse: “Perché hai sporcato l’acqua che bevevo?” L’agnello impaurito rispose: “Scusa, lupo, come posso aver fatto questo? Tu sei più in alto, perciò l’acqua scorre da te verso di me” Allora il lupo astuto, mosso dalla forza della verità, disse: “Sei mesi fa hai parlato male di me”. L’agnello ingenuo rispose: “Veramente non ero ancora nato sei mesi fa”. E il lupo rispose: “In verità, tuo padre ha parlato male di me”, così addentò l’agnello buono e lo mangiò uccidendolo ingiustamente.
“Homines violenti vituperandi sunt”
“Le rane chiedono un re” di Beatrice P.
Un giorno, le rane chiesero a Giove un re. Questo, dopo una sonora risata, mandò loro un pezzo di legno che atterrì, con il suo tonfo, la razza delle rane. Mentre queste giacevano immerse nello stagno, una di loro alzò il capo e, dopo aver esaminato il nuovo re, riunì le altre. Così, abbandonata ogni paura, fecero a gara per assalire l’asta di legno. Le rane, poi, chiesero nuovamente un re a Giove. Il dio mandò loro un serpente che le ingoiò una ad una. Le poche ranocchie sopravvissute chiesero a Nettuno di intercedere presso Giove perché le soccorresse, ma il dio rispose: “Poiché non avete accettato il bene, ora dovrete subire il male”
« qui recusat bonum patitur magnos dolores »
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“La rana e il sole” di Simone R.
Alla vista del matrimonio di un ladro, Esopo commentò: un bel di’ il sole volle sposarsi e, venendone a conoscenza, le rane si misero a gracidare.Turbato dal baccano, Giove chiese spiegazioni e un abitante della palude rispose: ”Lui ha sempre fatto seccare il nostro stagno, cosa accadrà quando avrà dei figli?”
“qui furtum facit nescit donare et gignit fures”
“Il lupo e la gru” di Flora R.
Un osso inghiottito era rimasto conficcato nella gola del lupo che, sopraffatto dal dolore, cominciò ad indurre tutti gli animali a togliergli quel tormento con un’esca. Finalmente riuscì a convincere una gru che credette alla promessa e mise il suo collo, lungo lungo, nella gola del lupo, così tentando l’intervento. Quando ebbe finito, esigette la ricompensa, ma il lupo rispose: - hai tirato la tua testa fuori della tua gola, tutta intera, e vorresti anche la ricompensa?! Sei un’ingrata!! –
« errat qui adiuvat improbos »
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“Il lupo, la volpe e la scimmia” di Alberto S.
Un giorno, il lupo accusò la volpe di aver rubato un grosso prosciutto nella sua tana, perciò andarono in tribunale per chiedere il giudizio della scimmia che era anche giudice. Il lupo accusò la volpe di avergli rubato il prosciutto mentre lui pescava nel fiume; la volpe sostenne molto candidamente la sua innocenza dicendo che nessuno può pensare di trovare qualcosa di buono nella tana del lupo e che, comunque, lei quel giorno era in Scozia da sua cugina. La scimmia, che viveva sempre sugli alberi e perciò aveva una visione panoramica delle cose, ricordando la proverbiale furbizia della volpe disse: << Non ci sono prove della tua colpevolezza, ma sono sicura che sei stata tu, altrimenti non avresti saputo mentire in maniera così convincente>>.
“non semper improbi sunt felices”
“Il cervo alla fonte” di Lavinia S.
Il cervo,dopo aver bevuto,rimase presso la fonte e nello specchio dell’acqua vide la sua immagine. E lì, mentre pieno di ammirazione lodava le corna ramose e criticava l’eccessiva sottigliezza delle zampe, atterrito dalle voci improvvise dei cacciatori, si mise a scappare per i campi e con rapida corsa sfuggì ai cani. Poi l’animale fu accolto dal bosco, dove le sue corna si impigliarono, e, così trattenuto, fu sbranato a poco a poco dai morsi feroci dei cani. Allora, sul punto di morire, dicono che abbia pronunciato queste parole: “Me infelice!Solo ora capisco quanto mi siano state utili le cose che disprezzavo, e quanto danno mi abbiano recato quelle che lodavo”.
quae neglegimus sunt saepe meliora
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“La volpe e il corvo” di Giorgia T.
Un corvo nero voleva mangiare un pezzo di formaggio succulento, rubato da una finestra, stando posato su un alto albero; l’astuta volpe rossa lo vide e cominciò a parlare: “Oh, meraviglioso corvo, quale è lo splendore delle tue penne lucide! Quanta bellezza hai nel corpo e nel volto! Se avessi la voce, nessun uccello ti sarebbe superiore.”. Ma il pennuto, da stupido, mentre voleva mostrare la voce, lasciò cadere dalla golosa bocca ciò che l’astuta volpe adulatrice afferrò con gli avidi denti bianchi. Solo allora il corvo sciocco scoppiò in lacrime.
“stulti vituperandi sunt”
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