GIOVANNI VERGA

Nasce a Catania il 2 settembre del 1840, in una famiglia agiata. Si iscrive alla facoltà di legge. ma appare molto più interessato alle vicende politiche italiane dopo lo sbarco dei Mille . Ne sono una testimonianza le prime opere: Amore e patria e I carbonari della montagna ; svolge anche attività di giornalista . Nel 1865 si stabilisce a Firenze e ha contatti con i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi. Fondamentale, negli anni fiorentini, è l'incontro con Luigi Capuana , con il quale inizia un rapporto d'amicizia e letterario. Scrive in questo periodo Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871)
Negli anni Settanta si trasferisce a Milano: sono gli anni della Scapigliatura. Escono i romanzi Eva, Tigre reale, Eros, la raccolta di novelle Primavera e altri racconti, e, nel 1874, il bozzetto di ambiente siciliano Nedda, in cui si affrontano tematiche diverse. La sua scrittura è una "ricerca di verità".

Nel 1881, dopo le novelle Fantasticheria (1880) e Vita dei campi (1878), appare I Malavoglia che non riscuote però molto successo, ma Verga continua a pubblicare: I ricordi del capitano D'Arce (1881), Il marito di Elena (1882), Novelle rusticane (1883), Per le vie (1883). Alla fine degli anni Ottanta viene pubblicato" Mastro-don Gesualdo. Nel 1893 torna nella sua Catania , ma prosegue la produzione per il teatro e lavora sul terzo romanzo (Duchessa di Leyra ) del ciclo dei vinti. Muore nel 1922

 

L'attività di Verga può essere divisa in tre fasi:
- le opere storico-patriottiche
- i romanzi mondano-borghesi, che ruotano su figure femminili e vicende sentimentali
- le opere veriste, dove l'ambiente non è più urbano, del Nord, ma rurale, della Sicilia contadina, con la sua antica cultura, mentre i protagonisti sono umili contadini, pastori o pescatori. Le donne restano delle protagoniste, con situazioni, però, tragicamente concrete.

 

In Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) troviamo alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri , come La lupa (la protagonista, detta appunto "la lupa", sa che il genero, col quale ha una relazione, la ucciderà ma ,quando vede l’uomo avvicinarsi minaccioso, va consapevole incontro alla morte, che accetta come necessaria conseguenza della sua illecita passione) ; La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato ricco proprietario terriero, ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia perché consapevole che con la morte dovrà rinunciare alla "roba"); Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre; infatti, alla fine, si rassegna alla sconfitta e sparisce nella cava durante un’esplorazione); Jeli il pastore, dove il protagonista si ribella al "signorino", che gli ha rubato la moglie e l’onore, e lo uccide, ma andrà in galera ; Cavalleria rusticana, ovvero il racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia.

Ne I Malavoglia (1881) Verga racconta la storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità.
In Mastro-don Gesualdo (1889), invece, si mette in risalto la storia del protagonista, Gesualdo, di origini modeste, che riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella la sua modesta estrazione sociale e persino la figlia Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù.
Come "verista", Verga usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così i personaggi e le vicende si presentano da sé, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla.

Per ottenere l'impersonalità Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore si serve di una lingua ricca di termini dialettali, di modi di dire e proverbi, di un registro modellato sulla lingua parlata dal popolo.

I MALAVOGLIA è, appunto, il primo romanzo del "Ciclo dei vinti", ciclo rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c’è speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del più forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa quella dell’intera umanità. L’unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano è quello della dignità umile ed eroica con cui l’uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni , come nella novella Libertà.

Il centro di tutto è una barca da pesca dei Malavoglia, chiamata "Provvidenza". La "Provvidenza" è la barca più vecchia del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Era anche essa una persona nella famiglia esemplare dei Malavoglia, la più onesta e compatta del paese.
Intorno al nonno Padron 'Ntoni, "testa" della casa, si muovono altre persone appartenenti a tre generazioni. Quando il maggiore dei nipoti, 'Ntoni, parte per la leva di mare, il nonno tenta un affare, compra a credito una grossa partita di lupini, li carica sulla barca e li affida al figlio Bastianazzo perché li vada a vendere a Riposto. La barca naufraga, Bastianazzo annega, i lupini sono perduti. La "Provvidenza" è ormai un rottame, sulla spiaggia. A Padron 'Ntoni rimane il debito dei lupini.

Dopo quella sciagura, il destino si accanisce sulla famiglia: Luca, il secondo dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa; Maruzza, la nuora, muore nel colera del '67. Il debito dei lupini "si mangia la casa del nespolo» che era l'orgoglio, la ragione di vita del vecchio; e già il debito aveva impedito le nozze della nipote, la Mena, che vive in silenzio il suo dramma. Il primogenito 'Ntoni, che da quando è tornato dal servizio militare in Continente non si rassegna alla miseria dei pescatori, e allora si dà al contrabbando e finisce in galera, dopo aver ferito un doganiere. Lia, la sorella minore, abbandona il paese e non torna più. Mena dovrà rinunciare a sposarsi con compare Alfio e rimarrà in casa ad occuparsi dei figli di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore, ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la «casa del nespolo» che era stata venduta.
Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto di non poter restare perché si sente indegno della famiglia di cui ha profanato le leggi e la sacralità.

 

                                                             Tematiche
-L’organizzazione sociale semplice, ancora fondata sulla famiglia patriarcale

-Il desiderio di star meglio che spinge a tentare l’affare o a cercare fortuna lontano: tentativi, vani, di uscire dalla condizione assegnata dal destino

-La brutalità della lotta per la sopravvivenza, dominata da un’ineluttabile legge economica

-La religione della famiglia, l’attaccamento al focolare e agli affetti, unica difesa possibile contro l’avidità del mondo, a patto che ci si accontenti di quello che si ha

-L’impossibilità di staccarsi dal proprio ambiente e dalla propria condizione, pena la rovina



                                                              
Il Mastro-don Gesualdo è il secondo romanzo del "Ciclo dei Vinti", che doveva comporsi di cinque romanzi, che ripropone una tesi : l’uomo, qualunque sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino.

Ne è un esempio Mastro-don Gesualdo, un manovale che è diventato ricco e rispettato a forza di duro lavoro e di sacrifici. Migliora anche socialmente, sposando la nobile Bianca Trao , che lo sposa per riparare ad uno sbaglio, ma non lo ama. Nasce Isabella che non è figlia di Gesualdo, ma egli considera la bimba come sua e la fa educare nei collegi più esclusivi .

Morta Bianca, che comunque si era affezionata al marito, Isabella si rivela ostile al padre , sebbene egli soddisfi tutti i suoi capricci, anche quello di sposare un duca squattrinato che sperpera il patrimonio di Gesualdo, accumulato in tutta la vita. Quando Gesualdo si ammala, muore solo, rimpiangendo quella "roba" che andrà a persone che non lo amano.

                                                                 

indietro