Grazia Deledda

Nuoro 1871 - Roma 1936

Nasce in una famiglia di modeste condizioni e i suoi studi sono, secondo la consuetudine propria per le donne, piuttosto limitati, ma , autodidatta, li integra con la lettura di G. Carducci, G. D'Annunzio, Dostoievskij e ben presto comincia a scrivere poesie, novelle, romanzi, apprezzati da critici come L. Capuana, ma anche in parte contestati per le storie un po' "forti" ; trasferitasi a Roma, scrive soprattutto romanzi. Il romanzo che la rende famosa è "Elias Portòlu", mentre "Canne al vento", del 1913, ne conferma la notorietà letteraria; nel 1926 ottiene il Premio Nobel.

Proprio con il romanzo "Elias Portòlu", che ha una consistenza sul piano della struttura e del linguaggio, Deledda esprime in pieno la sua concezione fortemente drammatica dell’esistenza, basata sull’idea della fragilità morale dell’uomo, che conduce quasi inevitabilmente alla colpa, alla sofferenza e alla perdizione. In Elias Portòlu il dramma si sviluppa intorno al tema dell’amore colpevole fra il giovane Elias e la fidanzata del fratello. Fattosi prete, ma inutilmente, Elias trova una forma di riscatto morale solo dopo la morte del figlioletto avuto dalla ragazza.

Il tema della fragilità morale si ripresenta, soprattutto , in "Canne al vento", nella figura di Efix, un vecchio servitore che , giorno per giorno, si riscatta in silenzio da un delitto commesso involontariamente.

Il titolo di quest’ultimo romanzo sintetizza una delle tematiche di fondo dell’autrice: gli uomini sono come "canne al vento", facili vittime delle passioni e del male, nel quale spesso cadono senza rendersene conto, soggetti ai colpi ciechi della sorte.

I protagonisti delle storie di Deledda sono uomini che corrono verso la rovina, trascinati da passioni colpevoli, e donne che tentano di nascondere il dramma interiore che le scuote, e il tutto viene ambientato in una Sardegna arcaica  mitica aspra, con i suoi usi e le sue tradizioni ancora impregnate di magie e superstizioni, dove il male, la sofferenza e l’espiazione della colpa sono avvertiti come fatalità ineliminabile.Da sottolineare, poi, la straordinaria consonanza fra uomini e luoghi, fra gli stati d'animo dei personaggi e la terra sarda.

Per quanto riguarda la sua collocazione nel mondo letterario, Deledda non si può definire verista, anche se non sfuggono le assonanze con autori come il Verga, e nemmeno decadente, nonostante le tematiche delle deviazioni umane e delle passioni morbose o il gusto per il folclore strano e inquietante, ma forse è più importante sottolineare la sua scrittura al femminile che privilegia il motivo della difficile condizione della donna, soggetta ancora a convenzioni e pregiudizi fortissimi.

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