L’autore

James Joyce (Dublino 1882 - Zurigo 1941), scrittore irlandese. Nel 1904 lasciò l'Irlanda, per un volontario "esilio" sul continente. Nel 1905 lasciò Zurigo per andare a insegnare inglese in un istituto privato di Trieste, città dove abitò fino al 1915 (salvo una breve parentesi romana) e dove strinse amicizia con Italo Svevo.

L'opera narrativa ha inizio nel 1914 con Gente di Dublino, quindici racconti, nei quali l’autore ripercorre l'infanzia, l'adolescenza, la maturità e la vita della sua città in momenti esemplari, per cogliere – tra delusioni e rivelazioni ("epifanie") – l'essenza dell'individuo e della realtà vissuta

L'opera che gli diede fama internazionale è Ulisse (1922), ispirato all'Odissea di Omero.

 Il romanzo racconta una giornata della vita dell'ebreo irlandese Leopold Bloom e, insieme, la stessa giornata vissuta da Stephen Dedalus, con l'incontro dei due personaggi: Bloom si muove nell'inconscia ricerca di un figlio, e Stephen alla ricerca di una figura paterna che faccia da punto di riferimento alle sue inquietudini .Nel romanzo, che vede la presenza di un terzo protagonista (Molly, la moglie di Bloom), vengono descritti gli aspetti dell'uomo moderno per trovare un senso, un ordine nel caos della realtà contemporanea.

Considerazioni e passi scelti dall’Ulisse di Jojce

La trama dell’Ulisse, uno dei romanzi più complessi della letteratura mondiale, è molto semplice: si tratta del resoconto di una giornata nella vita di Leopold Bloom, agente di commercio di Dublino, seguito dal narratore passo passo nel corso delle sue normali vicende quotidiane. Ovviamente, dato che Mr Bloom vive in una grande città, ha una famiglia e delle relazioni sociali, l’analisi della sua giornata si collega con quella delle numerose persone con cui viene a contatto, dai familiari (la moglie Molly e il figlio Stephen) agli amici, conoscenti e colleghi, incontrati durante il vagabondare per Dublino. Joyce ha voluto rendere conto non solo delle azioni, ma anche dei processi mentali più intimi di ciascun personaggio, cercando di descrivere i meccanismi psicologici che orientano la vita di una comunità, le sue abitudini, i suoi valori, i suoi gusti e i suoi comportamenti. Attraverso la tecnica dello "stream of consciousness" ("flusso di coscienza"), lo scrittore ci mette in contatto con il pensiero allo stato nascente, prima ancora cioè che la ragione dia ordine e organizzazione alle idee . L'autore rappresenta lo scorrere incessante e spesso informe dei pensieri, delle percezioni, delle associazioni mentali consapevoli e inconsapevoli dei personaggi.

Il risultato è forte per l’impatto emotivo e il testo risulta complesso per il lettore meno esperto .Le difficoltà di lettura sono determinate dall’uso di un linguaggio ricco di neologismi, espressioni dialettali e gergali, i salti di registro linguistico . L’interpretazione del libro è poi ulteriormente complicata dall’aspetto allegorico: le peripezie di Leopold Bloom vanno intese come l’equivalente moderno delle avventure di Ulisse (da cui il titolo). Nell’episodio dei voraci clienti del ristorante Burton si coglie l’analogia con il libro decimo del poema omerico, in cui vengono descritti gli orribili pasti dei Lestrígoni, popolo di cannibali:

al ristorante Burton

"…..Con cuore agitato sospinse la porta del ristorante Burton. Il tanfo gli tolse il tremulo fiato: sugo di carne piccante, risciacquatura di verdure. Guarda il pasto delle belve.Uomini, uomini, uomini.Appollaiati sui seggiolini alti del bar, cappelli spostati all’indietro, ai tavoli chiedevano altro pane compreso nel prezzo, ingurgitando, ingollando sorsate di sbroda, gli occhi sporgenti, pulendosi i baffi umidi. Un giovanotto pallido forbiva bicchiere coltello forchetta e cucchiaio col tovagliolo. Un’altra infornata di microbi. Un uomo col tovagliolo da bambino macchiato di salsa rimboccato intorno al collo spalava minestra gorgogliante giù per la strozza. Un uomo risputava qualcosa nel piatto: cartilagini semimasticate: niente denti per masmasmasticarle. Biascia bistecca dalla griglia. S’ingozzano per farla finita. Occhi tristi di beone. S’è cacciato in bocca più di quel che può mandar giù. Anch’io son così? Vedersi come ci vedono gli altri. Uomo affamato uomo arrabbiato. Denti e mascelle al lavoro. No! Oh! Un osso! Qualcosa di leccornioso.

– Rosbif e cavolo.

– Uno stufatino.

Odori d’uomini. Gli si rivoltò lo stomaco. Segatura sputacchiata, fumo dolciastro tepidiccio di sigaretta, lezzo di tabacco da masticare, birra versata, , rancidume di fermentazione.

Qui non manderei giù un boccone. Quello che arrota forchetta e coltello, per mangiare tutto quello che ha davanti, il vecchio che si stuzzica i dentucci. Piccolo rigurgito, pieno, ruminamento. Prima e dopo. Benedicite dopo il pasto. Guardato questo ritratto e poi quest’altro. Assorbono il sugo dello stufato con pezzettini di pane spugnoso. Leccalo dal piatto, amico! Andiamocene.Dette un’occhiata in giro ai mangiatori seduti a tavola e sui seggiolini stringendo le narici.

– Due scure qua.

– Uno di carne in conserva con cavoli.

Quel tale che si rimpinza di cavolo col coltello come se ne andasse della vita. Bel colpo. Fa venir la pelle d’oca a guardare. È meglio se mangia con tutte e tre le mani. Lacerarlo brano a brano. Una seconda natura in lui. Nato con un coltello d’argento in bocca. È spiritoso mi pare. Oppure no. Argento vuol dire che è nato ricco. Nato col coltello. Ma allora l’allusione va perduta.Un cameriere mal succinto raccoglieva i piatti acciottolanti vischiosi. Rock, l’usciere, ritto al bar, soffiava via la corona di schiuma dal boccale. Bene in alto: gialla ricadde vicino alla scarpa. Un cliente, coltello e forchetta inalberati, gomiti sulla tavola, pronto per una seconda portata, fissava il montacarichi al di sopra del rettangolo macchiato del giornale. Quell’altro gli diceva qualcosa a bocca piena. Ascoltatore benevolo. Chiacchiere conviviali. Fuori. Non posso soffrire i porci a tavola.

Indietreggiò verso la porta. Uno spuntino leggero da Davy Byrne. Tappabuchi. Per tenersi in piedi. Fatto una buona colazione.

– Arrosto con puré.

– Una pinta di scura.

Ognuno per sé, coi denti e con le unghie. Am. Am Am. Pappatoria.

Uscì all’aria più pura e tornò verso Grafton street. Mangiare o esser mangiati. Ammazza! Ammazza! ".

Dal monologo di Molly Bloom

Molly lascia fluire tutta la sua coscienza, tutto il suo pensiero, non arginato da nulla e da nessuno ( flusso di coscienza).Crolla la sintassi, la prosa viene stravolta nelle sue regole, non esiste punteggiatura: "è uno scorrere gorgogliante di parole e di sentimenti".

[...] vorrei che la casa traboccasse di rose Dio del cielo non c'è niente come la natura le montagne selvagge poi iI mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d'avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette e questa la natura e quelli che dicono che non c'è un Dio non darei un soldo bucato di tutta la loro sapienza perché non provano loro a creare qualcosa gliel'ho chiesto spesso gli atei o come diavolo si chiamano vadano e si lavino un po' prima e poi strillano per avere il prete quando stanno per morire e perché perché perché han paura dell'inferno per via della loro cattiva coscienza ah si li conosco bene chi è stato il primo nell'universo prima che ci fosse qualcun altro che ha fatto tutto chi ah non lo sanno e nemmeno io eccoci tanto vale che cerchino di impedire che domani sorga il sole il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che gli feci fare la dichiarazione [...] e era un anno bisestile come ora si 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio cosi lungo non avevo piu fiato si disse che ero un fior di montagna si siamo tutti fiori [….]

 

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