Le vicende italiane dalla fine della Grande guerra

agli anni di Mussolini

 

di Arianna R.

Alla fine del 1918 in tutto il mondo si sperava in una pace duratura. Ma i Paesi che si ritenevano gravemente danneggiati dal trattato di Versailles, anziché ispirarsi ad una visione più equilibrata dei rapporti internazionali, inasprirono tali legami e prepararono i propri eserciti, rendendo inevitabile una nuova prova di forza. L’industria europea, dopo le tragiche esperienze belliche, aveva perduto definitivamente il primato nel mondo a vantaggio degli Stati Uniti d’America.Inoltre, la guerra aveva favorito la nascita di un’altra grande potenza economica: il Giappone. L’Europa, nel dopoguerra, si trovò ad affrontare un rifiuto crescente, da parte di ampi strati della popolazione, dei principi del liberalismo e del parlamentarismo, giudicati inadatti a risolvere i problemi dei Paesi, così  si tendeva a soluzioni autoritarie ed apertamente antidemocratiche, che non facevano altro che alimentare la violenza ed i conflitti. In questa atmosfera vennero ad affermarsi veri regimi autoritari come il comunismo sovietico-bolscevico ed il fascismo italo-tedesco.Tuttavia ci furono dei Paesi che riuscirono a mantenere in vita i propri governi liberali, come la Francia e la Gran Bretagna. In Italia prese vita, per la prima volta, il fascismo. Il dopoguerra italiano fu segnato da due eventi che cambiarono decisamente la vita politica del Paese:l’intervento diretto delle masse popolari e la diffusa sfiducia nei confronti dei governi liberali. Il clima di disagio che aleggiava faceva pensare all’avvicinarsi di una guerra civile, visto che ormai tutti gli strati sociali avevano buone ragioni per lamentarsi del governo. Anche se l’Italia era uscita vincitrice dal conflitto, era dominata da grosse difficoltà economiche e da profondi contrasti sociali. La lunga guerra aveva inoltre creato elevatissimi debiti, la produzione agricola era notevolmente diminuita e le industrie dovevano trasformarsi per poter creare prodotti adatti ai tempi di pace. Neanche la classe imprenditoriale uscì bene dal conflitto, in quanto pensava di poter risolvere le difficoltà con la riduzione della propria produzione industriale e con il licenziamento degli operai. Tutto ciò non fece altro che determinare l’aumento della disoccupazione e una pesante inflazione e, quindi, un elevato costo della vita che, comunque, rimase tale nell'arco di tutto il ventennio fascista. Ad appesantire la situazione contribuì la convinzione che i sacrifici sostenuti in guerra non erano serviti a nulla, dato che l’Italia non aveva neppure raggiunto gli ampliamenti territoriali promessi. Così anche la delusione per la "vittoria mutilata" contribuì a riaccendere le lotte interne . Scioperi e manifestazioni culminarono nel 1920 nella occupazione delle fabbriche da parte di alcuni operai metallurgici. Gli industriali respinsero le richieste dei dipendenti e si determinò l’insuccesso della classe operaia.

Molti cattolici, riuniti nel Partito Popolare Italiano, fondato da Luigi Sturzo, chiedevano una radicale riforma agraria. A complicare ulteriormente la situazione intervenne la scissione del Partito Socialista: l’ala sinistra, separandosi nel 1921 dall’ala più moderata e riformista, dette vita al Partito Comunista sotto la guida di Antonio Gramsci, predicando l’attuazione di una rivoluzione di tipo leninista. Chi in questo stato di cose seppe mostrarsi più abile e più deciso fu l’ex socialista interventista Benito Mussolini; egli era riuscito a raccogliere intorno a sé alcuni simpatizzanti presso ogni strato sociale e costituì le "squadre d’azione", i cui membri vestirono la camicia nera con il fascio littorio; il compito di tali squadre era di assalire e disperdere le organizzazioni non in linea con il programma fascista e di mettere a tacere i politici dei partiti di sinistra. Il Presidente del Consiglio Giolitti, tornato al potere nel 1920, rimase passivamente a guardare di fronte al comportamento di Mussolini, convinto di poter, al momento opportuno, riprendere in mano la situazione.Con le elezioni del 1921 cadde il ministero presieduto da Giovanni Giolitti. Il suo successore fu il ministro della guerra Ivanoe Bonomi, il quale cedette ben presto il potere al ministro delle finanze Luigi Facta. Era ormai evidente che lo Stato liberale si avviava verso una definitiva crisi, tanto più che i fascisti, riuniti in un vero e proprio partito, dichiaravano ormai anche apertamente di voler arrivare con la forza al governo del Paese. E ciò avvenne il 26 ottobre 1922 quando Mussolini ordinò ai suoi di marciare su Roma e d’impadronirsi del potere. Facta cercò di opporsi, ma Vittorio Emanuele si rifiutò di firmare lo stato d'assedio ed invitò Mussolini a raggiungere Roma per formare un nuovo governo. Mussolini fondò la propria forza politica su una graduale trasformazione degli ordinamenti liberali in senso autoritario. Fin dal dicembre 1922 egli si preoccupò di limitare l’attività politica del Parlamento, istituendo un altro organo collegiale, il Gran Consiglio del Fascismo. Il suo grande desiderio era infatti quello di arrivare al pieno controllo del Parlamento, ecco perché decise di indire nuove elezioni per l’aprile 1924, dopo aver fatto votare una legge elettorale di tipo maggioritario, la legge Acerbo, in base alla quale due terzi dei seggi sarebbero andati al Partito che avesse ottenuto più voti e l’ultimo terzo sarebbe stato assegnato alle altre liste. Quando il 10 giugno 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti venne rapito ed assassinato da alcuni sicari fascisti, per un momento sembrò che il fascismo stesse per concludere la sua esistenza, ma il re, che doveva garantire il rispetto delle leggi e della Costituzione, non si mosse; di fronte a tale situazione l’opposizione abbandonò la Camera dando vita ad una secessione detta Aventino. Tale protesta non ebbe, però, i risultati sperati, sia perché i partiti democratici non riuscirono a mettersi d’accordo e ad organizzare la lotta, sia perché Mussolini ormai godeva dell’appoggio della Monarchia e dei più alti esponenti dell’esercito e della grande borghesia industriale ed agraria, ma, soprattutto, perché questa secessione dette modo a Mussolini di indebolire ulteriormente le istituzioni democratiche. Infatti nel discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, il Duce, come si fece successivamente chiamare, annunciò la soppressione delle libertà costituzionali e l’instaurazione della dittatura.Quella data costituì l’inizio di un processo di smantellamento dello Stato liberale ed il primo vero passo del Fascismo verso la formazione di un regime forte, accentrato e conservatore, fondato sulla dittatura unica ed assoluta di Mussolini.Nel 1926 vennero promulgate le leggi fascistissime, che miravano a colpire la libertà di stampa e il diritto di sciopero ( la legge sulla Stampa disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un responsabile riconosciuto dal prefetto, quindi dal governo, mentre gli altri venivano considerati illegali; la legge sul diritto di sciopero stabiliva che soltanto i sindacati "legalmente riconosciuti" - fascisti- potevano stipulare contratti collettivi ).  Il Parlamento, inoltre, venne fortemente limitato a tutto vantaggio del potere esecutivo, in tal modo Mussolini si attribuiva il diritto di svolgere un’attività legislativa autonoma e persino in contrasto con le norme vigenti. A questo punto era ormai evidente la fine dello Stato liberale e la trasformazione del governo fascista in un vero e proprio regime, che nel 1938 giunse a varare le nefande leggi razziali, mentre nel 1939 stipulò con Hitler lo sciagurato Patto d'acciaio. Ma solo nel 1945 l'Italia riuscì a liberarsi dalla dittatura fascista.

 

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